Sangue, sangue e ancora sangue; c'era sangue dappertutto. Gli occhi di Remo saettavano terrorizzati dal cadavere rattrappito davanti a lui a tutto l'ambiente circostante, per tornare poi a fissare di nuovo il cadavere; e la cosa che continuava a colpirlo maggiormente era proprio quell'incredibile quantità di sangue: possibile che nel corpo umano ne circolasse così tanto? Certo lui non era un medico, anzi in realtà la sagoma contorta sul pavimento era anche il primo cadavere che incontrava, ciononostante tutto quel sangue era veramente troppo, soprattutto per uno con lo stomaco delicato come lui.
Era pomeriggio e Remo si trovava nell'abitazione del dottor Crisci, da cui era stato convocato proprio quella mattina, per iniziare il suo primo caso ufficiale come investigatore privato. Poco prima che arrivasse la telefonata Remo stava contemplando, come di consueto, il soffitto del fatiscente cantinato che lui si ostinava a chiamare “ufficio”, contando con espressione lugubre le macchie di umidità che sembravano dilatarsi giorno dopo giorno. I morsi della fame che gli mandava quel traditore del suo stomaco gli ricordavano implacabilmente le ore trascorse dal suo ultimo cappuccino e quelle di là da venire per il “pasto” successivo.
Assicurarsi, se non i canonici tre, almeno due “pasti” al giorno, cioè un robusto cappuccino la mattina e un paio di panini a metà giornata, non era una cosa facile già da parecchio, poiché da quando si era trasferito a Roma le cose erano andate di male in peggio. Era arrivato pieno di entusiasmo, con in tasca l'attestato di investigatore privato preso per corrispondenza e in testa i casi risolti dal suo idolo, Philip Marlowe, e la certezza di trovare lavoro a bizzeffe nella capitale. Ma le cose non erano andate purtroppo così: quasi tutto il suo modesto gruzzolo, accantonato in tre anni di lavoro come commesso in un negozio di casalinghi, era servito per affittare un sottoscala umido e polveroso che aveva l'unico vantaggio di prevedere l'entrata da una portineria di Piazza di Pasquino, quindi, almeno come allocazione, in pieno centro. Ma questo era l'unico vantaggio del suo “studio”, che poi era composto solamente da una stanzetta, umida e buia, che aveva come unica fonte di luce una finestrella appena sotto il soffitto che, come Remo aveva scoperto ben presto, non forniva soltanto luce. Infatti i cani del quartiere avevano preso in simpatia le grate che ornavano il pertugio, onorandole giornalmente con i loro residui idraulici; vai a capire poi la psicologia canina! Cosicché da quella finestrella, oltre ad un poco di luce che riusciva a penetrare soltanto nelle ore centrali della giornata, scendeva anche troppo spesso della calda umidità, frutto di tutte le razze canine, meticci compresi, del quartiere e ogni tanto anche di quelle feline.
Remo aveva fatto buon viso a cattiva sorte; d'altro canto non poteva proprio permettersi niente di più e quindi aveva cercato di apprezzare al massimo il suo misero quartier generale, che gli avrebbe fatto da ufficio di giorno, per ricevere le frotte di clienti che sicuramente si sarebbero presentate e, almeno per il momento, anche da abitazione di notte, in attesa di una sistemazione migliore. Così aveva cercato di attrezzare l'ambiente nel modo più confortevole, anche se più economico, possibile: prima di tutto aveva fatto domanda alla Telecom per il telefono, dato che attraverso il filo sarebbe stato contattato dalla sua folta clientela, e invece per quanto riguarda l'arredamento, si era recato a Porta Portese e con una modica spesa era riuscito ad assicurarsi un divano letto di stoffa verde di quarta mano, con la stoffa strappata qua e là e qualche molla rotta, la cui sagoma si intravedeva e si sentiva dolorosamente, appena ci si sdraiava di sopra; e una scrivania in metallo con relativa sedia semi-imbottita, risalente con ogni probabilità a qualche vecchio medico che doveva ricordare la breccia di Porta Pia. Proprio la sedia, in quel vetusto insieme di oggetti con tanta “personalità”, era la cosa conciata peggio, anzi proprio da far pietà, tanto che ogni volta che Remo si sedeva e si appoggiava alla scrivania, era tutto un coro di gemiti e scricchiolii quasi umani da fare accapponare la pelle.
In seguito si era reso conto della necessità di possedere una cassettiera, al cui interno avrebbe sistemato le pratiche d'ufficio e qualche cambio d'abito, e qui la fortuna lo aveva aiutato, almeno in quell'occasione, facendogliene trovare una abbandonata in un angolo della bottega di un vecchio ebanista a Campo de' Fiori; ed era tanto sbilenca che quello se ne era disfatto ben volentieri, senza neanche chiedergli soldi, tanto la considerava solo un rottame. Ma Remo se l'era portata nello studio con grande fierezza, l'aveva lucidato a dovere con lo smalto verde e l'aveva sistemato di lato alla scrivania; peccato che fosse decisamente difficile aprirla e chiuderla, forse perché le guide dei cassetti, almeno quelle che ancora sopravvivevano, si erano gonfiate per l'umidità o forse per la ruggine delle serrature. Ma era un difetto di poco conto, tant'è che ben presto il giovanotto era riuscito a capire il modo di aprirla e chiuderla velocemente, grazie ad un complicato intreccio di calci e pugni sapientemente dosati.
Oltre ad uno specchio incorniciato nella plastica acquistato per il “bagno”, in realtà un loculo di un metro per uno, acquistato nei grandi magazzini di via del Tritone, l'ultimo pezzo di “arredamento” che era arrivato nel suo studio era una specie di lampada da tavolo con un paralume verde (per accordarsi con il divano), un autentico pezzo di antiquariato trovato vicino a Piazza Navona una sera accanto ad un cassonetto dei rifiuti, sicuramente qualcosa che era miracolosamente sopravvissuta alle due guerre mondiali e vantava, quindi, tutti gli acciacchi dell'età.
Al resto ci avrebbe pensato in seguito; per il momento si sarebbe accontentato di quei mobili dalla personalità così spiccata. D'altronde, era rimasto quasi senza più liquido in tasca e, in attesa di clienti, aveva pensato che era giunto anche il momento di fare un po' di dieta forzata. Da quel momento erano passati tre mesi e di clienti non se ne era vista neanche l'ombra; Remo e il suo stomaco cominciavano ormai a disperare.
Il disgraziato investigatore le aveva ormai tentate tutte e si era dissanguato economicamente nel tentativo di farsi pubblicità, perché come si sa la pubblicità è l'anima del commercio, e sicuramente al seguito del primo cliente gli altri lo avrebbero seguito in massa. Così aveva investito le sue ultime energie negli annunci dei settimanali degli “affari” e le sue ultime risorse sui quotidiani della capitale, nonché in una targa di plastica situata accanto al portone che declamava in modo perentorio e solenne:
Remo Pancaldi
Investigatore privato
Servizio Diurno e notturno
Professionalità - PrivacyAnche mettere la targa non era stato facile e non solo per un fattore economico; era riuscito nel suo intento solo dopo aver litigato ferocemente con l'impossibile portinaia, la quale asseriva che in quel palazzo targhe non ce ne erano mai state e quindi non ce ne dovevano stare. Ma alla fine l'aveva avuta vinta Remo e aveva potuto inchiodare la targa, sistemandola per bene. Ma i mesi erano trascorsi e, targa o non targa, annunci pubblicitari o no, non si era visto nessun risultato, cioè nessun cliente. Remo tuttavia aveva cercato di non abbattersi, anche se ogni tanto c'erano momenti in cui i pensieri correvano avanti da soli e la sua malinconia lo avrebbe spinto a fare un bel tuffo nel Tevere e addio mondo crudele.
Quella mattina stava riflettendo una volta di più sulla sua amara sorte quando il telefono si era finalmente animato, mandando un sonoro squillo per tutta la stanza. Remo aveva cercato di non galvanizzarsi troppo: molto spesso era capitato che quel disgraziato telefono squillasse per sbaglio e ormai cercava di non farsi troppe illusioni. Ciononostante aveva afferrato la cornetta con piglio autoritario, come se chi telefonava avesse potuto vederlo dall'altro capo del filo, e aveva esordito con la tiritera che conosceva a memoria: «Qui Studio Pancaldi, Investigazioni Private; in che cosa possiamo esserle utili?».
Per poco non gli era venuto un colpo apoplettico quando dall'altro capo del filo nessuno aveva mormorato delle scuse per aver sbagliato. Incredibile, ma cercavano proprio lui! Il primo cliente di una lunga e gloriosa serie era finalmente arrivato: era una voce di uomo quella che gli si rivolgeva, e si sarebbe detto anche di una certa cultura e probabilmente di mezza età. L'accento era quello romano, ma il tono era permeato dalla preoccupazione e una traccia di paura affiorava qua e là.
«Buongiorno, avrei bisogno dei vostri servizi urgentemente per una questione personale e delicata. Ma ne ho bisogno davvero con molta urgenza, potrei avere un appuntamento per oggi stesso?».
Remo, ancora incredulo, si guardò intorno e notò ancora una volta lo squallore del suo “ufficio” e l'assoluta mancanza di altri esseri umani lungo il suo perimetro. Qualcosa gli diceva che avrebbe concesso un appuntamento a quel cliente a qualunque ora; ma un po' di scena non fa mai male.
«Mi faccia controllare un attimo; controllo la mia agenda e le do subito una risposta. Un attimo di pazienza per favore», e contemporaneamente si mise a scartabellare fra le bollette, le fatture ancora non pagate e gli avvisi pubblicitari che erano ammucchiati sulla scrivania davanti a lui, avendo cura di fare più rumore possibile proprio vicino al ricevitore del telefono. Quando pensò che la commedia fosse durata abbastanza e che il suo futuro cliente dovesse essere ormai convinto di avere a che fare con un investigatore richiestissimo, smise di fare frusciare tutta quella cartaccia e riprese la cornetta del telefono: «Uhm, sì, credo di poterle accordare un appuntamento per le quattro di questo pomeriggio. Le va bene?» e intanto incrociava le dita per augurarsi una fausta conclusione.
La risposta non si fece attendere: «Molto bene, la ringrazio. La questione è piuttosto urgente e, prima cominciamo a lavorarci su, meglio sarà per tutti».
Remo non poteva essere più d'accordo: anche il suo stomaco aveva bisogno di lavorare urgentemente, digerendo qualsiasi cosa, magari di caldo, il suo proprietario decidesse di spedirgli. Avendo superato lo scoglio dell'appuntamento, Remo decise di dare al colloquio telefonico un tono altamente professionale: «Bene e in che cosa consisterebbe il mio incarico? E con chi ho il piacere di parlare?».
«Oddio, la prego di scusarmi, non mi sono nemmeno presentato, ma stamattina non ci sto proprio con la testa! Io sono il dottor Crisci, virologo specializzato in malattie infettive, e ho lo studio e anche l'abitazione in via dei Baullari al numero 12. Come vede siamo vicini di casa e infatti ho notato la sua targa in Piazza di Pasquino un paio di giorni fa, anche se in quel momento non avrei certo immaginato di aver bisogno della sua assistenza così presto! Mi trovo in una situazione estremamente delicata e non posso assolutamente chiamare la polizia. E' davvero una questione di vita o di morte! Mi creda, ho un bisogno disperato di un professionista!».
E qui Remo avvertì la prima fitta di rimorso. Onestamente sperava di cominciare con un caso più semplice, del tipo ritrovare un pechinese scomparso o fotografare le prove di infedeltà di una ricca signora annoiata, dato che non aveva molta esperienza (nella fattispecie: nessuna), ma soltanto un oceano di buona volontà. Infatti quello era il suo primo caso in assoluto e, anche se aveva studiato scrupolosamente le lezioni del suo corso per corrispondenza di investigatore privato, si rendeva lucidamente conto che un po' di pratica non sarebbe guastata, prima di lanciarsi a capofitto in un caso “vero”. Ma bisognava pur cominciare e sicuramente il dottor Crisci non avrebbe potuto trovare un investigatore più volenteroso di lui! Un po' rinfrancato da quell'esame di coscienza veloce, ma anche approfondito, il neo-investigatore si rivolse di nuovo al suo cliente nuovo di zecca: «Sono qui per questo, dottore. Ma avrei bisogno di qualche altro particolare; di che si tratta esattamente?».
Il tono del suo interlocutore si fece esitante, era ovvio che non sapeva quanto fosse prudente esporsi al telefono: «Preferirei non parlarne al telefono. Le dirò tutti i particolari quando verrà questo pomeriggio. Allora potremo parlare liberamente. Posso dirle solo che ho il sospetto di essere sorvegliato e che da ieri sera la mia unica figlia è scomparsa. Non è tornata a casa e non ha più dato notizie di sé. Non posso proprio dirle altro. L'aspetto questo pomeriggio alle quattro. Ricordi, Via dei Baullari, n. 12. Si tratta di un palazzo del 700, e io sto al primo piano, sulla destra. Non può sbagliarsi, perché troverà la mia targa sul portone e poi anche sulla porta dello studio. A più tardi, allora».
E la comunicazione si interruppe. Remo rimase a guardare il telefono che ancora stringeva in mano come se questo si fosse trasformato all'improvviso nella lampada di Aladino. Finalmente aveva il suo primo incarico. Evviva!
Per festeggiare degnamente lo storico avvenimento il giovanotto investì i suoi ultimi spiccioli in un pasto che a lui, con la fame arretrata che aveva, sembrò a dir poco luculliano. Si recò infatti a mangiare al Fast Food dietro l'angolo dove, ignorando le proteste del suo stomaco che avrebbe vuotato l'intero negozio, si concesse un paio di cheeseburger con palatine fritte, un'insalata con salsa rosa e perfino un dolce alle mele. Ah, era nettare per i suoi denti in sciopero forzato!
Dopo questa ritemprante sosta, Remo si concesse una digestiva passeggiata in attesa che si facessero le quattro e potesse fare così la conoscenza del suo cliente nuovo di zecca. Ritenne inutile tornare in ufficio: era controproducente sfidare la sorte due volte in un giorno: era statisticamente impossibile, secondo il calcolo delle probabilità, che un altro cliente avesse bisogno di lui proprio quel giorno, dopo che per tre mesi nessuno si era degnato di contattarlo.
Bighellonò attorno a Piazza Navona e si sedette su una delle sue panchine, divertendosi a osservare i turisti di tutte le razze che affollavano la Piazza e i disegnatori che per pochi euro li ritraevano o, a richiesta, facevano loro le caricature, tra scoppi di risa e di buonumore. Anche i venditori di palloncini facevano buoni affari con quella splendida giornata di sole e così anche le zingare che vendevano rose, facendole pagare dieci volte il loro prezzo reale. Il tempo passò pigramente e alle quattro meno un quarto Remo pensò che fosse giunto il momento di avviarsi. Anche se il luogo dell'appuntamento era vicinissimo, ritenne prudente arrivare con un po' di anticipo, per studiare il palazzo e il posto in generale. Infatti la regola numero uno del suo manuale del perfetto investigatore privato diceva che bisogna sempre guardarsi le spalle, e lui avrebbe fatto proprio così. Tornò quindi indietro per Piazza di Pasquino e, attraverso Corso Vittorio Emanuele, fu subito in Via dei Baullari n. 12, si trovava piuttosto vicino a Campo de' Fiori, ed era appunto un palazzo del '700, restaurato da poco. Accanto al portone campeggiava una targa di ottone lucido dall'aria imponente (ben diversa dalla sua misera targa in plastica), che declamava:
Dott. Mauro Crisci
Specialista in malattie infettivePer la strada, quasi un vicolo in quel punto, non c'era in quel momento un'anima, e dopo una rapida occhiata Remo poté appurare che il palazzo non aveva portineria. Controllò l'orologio e vide che mancavano cinque minuti all'ora dell'appuntamento. E proprio mentre era indeciso se citofonare subito o aspettare che si facessero le quattro spaccate, il suo dilemma fu risolto da una vecchina che uscì dal portone, lasciandolo socchiuso. A quel punto indugiare ancora era inutile e Remo si avventurò dentro il palazzo. Dopo la piena luminosità dell'esterno gli occhi di Remo tardarono un po' a mettere a fuoco l'interno della portineria che per contrasto risultava molto buia. Dopo qualche attimo riuscì ad abituare gli occhi al cambiamento di luce e distinse una porticina a sinistra che doveva probabilmente essere la casa del portiere, quando tale carica era stata occupata, e le rampe di scale di fronte a sé. Si sforzò di ricordare esattamente le parole del suo cliente sulla dislocazione del suo appartamento: aveva detto qualcosa sulla destra… Ecco, sì, aveva detto al primo piano, a destra. Si incamminò, quindi, verso quella direzione, restando vagamente impressionato dal silenzio assoluto che regnava nel palazzo. Nemmeno i rumori del traffico del vicino Corso Vittorio riuscivano a valicare quelle spesse mura, e Remo si sentì rabbrividire senza motivo apparente, come folgorato da una premonizione di cattivo augurio. Scrollò le spalle, prendendosi mentalmente in giro per la sua tremarella. Ma, certo che in quel palazzo c'era una strana atmosfera. All'improvviso si trovò sul pianerottolo del primo piano e, svoltato a destra, si ritrovò davanti, come gli era stato detto dal suo cliente, l'ennesima targa di ottone che informava che il Dottor Crisci, Specialista in malattie infettive, riceveva lì. Avvicinandosi alla porta per bussare, fu assalito nuovamente, e in modo più prepotente, da una sensazione di profondo disagio e di pericolo imminente che lo prendeva alla nuca, facendogli rizzare i peli del collo, ma anche questa volta non la prese in minima considerazione. Perbacco era il suo primo caso, non era proprio il momento di fare la donnicciola!
Ma, approssimandosi al battente della porta per bussare, notò la prima cosa veramente strana: la porta era socchiusa! Cercò di darsi subito una spiegazione logica; evidentemente il dottor Crisci lo aspettava e aveva preferito lasciare la porta aperta per farlo entrare subito, appena fosse arrivato. Certo però che un uomo spaventato come quello che gli aveva parlato al telefono quella mattina non sembrava voglioso di lasciare casa sua aperta al primo venuto. Boh?! Raddoppiando la sua prudenza e circospezione, Remo si affacciò all'appartamento, chiamando ripetutamente il dottor Crisci. Ma nella casa aleggiava un silenzio spettrale, e nessuno gli venne incontro man mano che si introduceva all'interno dell'appartamento. Incrociò in sequenza quella che doveva essere la sala d'attesa per i pazienti, con le sedie disposte lungo le pareti e la scrivania della segretaria situata al centro del locale, e poi si inoltrò nell'ambiente che doveva essere lo studio vero e proprio. Appena superata la soglia di questo locale si sentì afferrare alla gola da un forte odore dolciastro che permeava interamente la stanza. L'odore lo mise in forte allarme e si inoltrò nell'ambiente con estrema prudenza, cercando di intravedere qualcosa nel buio quasi assoluto che l'avvolgeva. La sensazione di pericolo che prima aveva avvertito vagamente era adesso diventata prepotente e sovrastava qualunque altra sensazione. Remo “sentiva” distintamente che in quella stanza era accaduto qualcosa di orribile e di violento perché l'atmosfera intorno a lui ne era completamente satura. Era strano che sentisse questo tipo di sensazioni che non aveva mai avvertito in precedenza, ma era come se dentro di lui si fosse svegliata un'altra parte di sé che gridava, invitandolo alla prudenza.
Il neo-investigatore sentì i capelli rizzarglisi in testa e, cercando di darsi un po' di coraggio del quale si sentiva completamente sprovvisto, continuò ad avanzare nello studio fino ad arrivare alla finestra che, nonostante le persiane sprangate, lasciava intravedere un po' del chiarore esterno. Con un gesto deciso si apprestò quindi ad aprirla e dopo aver effettuato questa mossa raccolse tutto il proprio coraggio e, facendo un profondo respiro, si girò di scatto, cercando di convincersi che, qualunque spettacolo lo attendesse, egli era perfettamente in grado di fronteggiarlo. Quando i suoi occhi stralunati misero a fuoco l'aspetto della stanza con tutti i suoi disgustosi particolari, era decisamente troppo tardi per Remo per tirarsi indietro: si trovava alla presenza del suo primo cadavere!
Com'era comprensibile, la sua attenzione fu calamitata per un arco di tempo non definibile - doveva essersi trattato di pochi secondi o al massimo minuti, anche se a Remo sembrarono lunghi come secoli - soltanto dal corpo riverso sul pavimento quasi in posizione rattrappita, a faccia all'aria, ricoperto da un mare di sangue, causato, e questo era in grado di affermarlo perfino Remo che di patologia non ne capiva un accidente, da un coltellaccio da cucina, del tipo che usano i macellai, saldamente ficcato nel suo torace, dal quale emergeva in tutto il suo raccapricciante aspetto.
Sulle prime Remo non fu in grado di avvicinarsi maggiormente a quello che senza dubbio era diventato un cadavere grazie all'aiuto del coltellaccio, perché venne sommerso da una nausea così intensa che gli fece temere che il tappeto che era già in abbondanza lordato dal sangue della vittima sarebbe stato arricchito anche dai resti del suo pranzo. Ci volle un po', ma quando quel tragico momento passò, e Remo riacquistò coscienza di sé e di ciò che purtroppo lo circondava, la voglia di scappare fu intensa. Ma il giovanotto, avendo messo in moto tutta l'adrenalina di cui disponeva, con una forte dose di volontà e di temerarietà (non per niente era un emulo di Philip Marlowe!) si convinse a restare e ad osservare finalmente la scena del suo primo delitto, badando tuttavia a non lasciare alcuna traccia della sua presenza in quel luogo. Con un sangue freddo che non credeva di possedere il neo-investigatore si avvicinò allora al cadavere, muovendosi con molta circospezione tra le macchie di sangue sparse a terra, e lo osservò finalmente a distanza ravvicinata. La vittima era un uomo di mezz'età, morto probabilmente da non più di un'ora, perché il rigor mortis aveva appena fatto la sua apparizione. La ferita che ne aveva causato la morte era ampia e frastagliata: si sarebbe anzi detto che l'assassino lo avesse colpito più volte in quel punto con il grosso coltello, prima di lasciarlo agganciato con orrido effetto scenografico al torace della vittima. In conseguenza di ciò, il corpo aveva perso una grossa quantità di sangue che aveva inzaccherato ciò che lo circondava con ampi, macabri spruzzi. Stranamente nella stanza non sembrava esserci, invece, alcun segno di colluttazione o di lotta di alcun tipo, come se la vittima non si aspettasse alcuna minaccia dall'assassino. E, considerato che era stato ucciso con quel grosso coltellaccio da macellaio, un'arma decisamente ben visibile, tutto ciò era decisamente strano, e Remo non capiva come l'assassino avesse potuto contare sull'effetto sorpresa servendosi di un'arma così poderosa. Inoltre, il cadavere aveva un'espressione di stupore, come se l'ultima immagine che avevano colto i suoi occhi prima di morire fosse inaccettabile e assolutamente incredibile. Indubbiamente la vittima non doveva aspettarsi niente di male dal suo assassino, e fino all'ultimo non aveva creduto che costui, o costei, potesse minacciarlo in qualche modo. Evidentemente l'assassino doveva essere una persona del tutto insospettabile, e questo rendeva il macabro ritrovamento ancora più allucinante.
Le rotelline del cervello di Remo giravano, ormai, a forte velocità, ma il giovanotto si rendeva conto che, senza sapere qualcos'altro, non sarebbe riuscito a venire a capo di quell'incredibile enigma. Le domande che gli si affollavano alla mente erano centinaia, anche se sarebbe bastato conoscere una decina di risposte per sperare in un esito favorevole del caso. Una delle prime domande a cui l'investigatore privato (ormai si sentiva autorizzato pienamente a pensare a se stesso in questa veste) avrebbe voluto trovare una risposta era il nome della vittima. Chi era quel poveraccio raggrinzito sul tappeto persiano del dottor Crisci? Forse il suo stesso cliente, e in questo caso Remo avrebbe avuto ben poco da rallegrarsi. Niente cliente, niente paga; quindi niente cibo per il suo stomaco!
Il pensiero del suo stomaco lo fece sentire di nuovo male, in preda a un nuovo attacco di nausea; ma, ripetendosi mentalmente che con un mestiere come quello che si era scelto avrebbe dovuto abituarsi ai cadaveri, il giovanotto si fece violenza, costringendosi ad avvicinarsi maggiormente al morto in cerca di qualche eventuale indizio che, pur stando attento a non lasciare tracce e a non toccare niente di importante, gli permettesse però di avere un punto di partenza dal quale cominciare le sue personali indagini. Sì, perché ormai aveva deciso: si sarebbe occupato di quell'omicidio anche se non ci avesse guadagnato neanche un hamburger. Ad un più approfondito esame, però, il morto non rivelò niente di nuovo. Peccato non poterlo assolutamente toccare! Se solo avesse potuto frugarlo, soltanto un pochino. Ma anche se inesperto Remo sapeva di non potersi permettere assolutamente questi lussi: qualunque mossa da parte sua avrebbe potuto distruggere qualche importante prova ai danni dell'assassino. Così non c'era altro che potesse fare, prima di chiamare la Polizia, se non dare un'ulteriore occhiata alla stanza in cui era avvenuto il delitto, trascurata quasi del tutto fino a quel momento a beneficio della vittima. Ma nel rialzarsi il giovanotto si rese conto, con una buona dose di disgusto, che era il morto ad avere lasciato il suo marchio su di lui e non viceversa: infatti si ritrovò una purpurea macchia di sangue sul polsino della camicia che si affrettò a nascondere sotto la giacca. Più tardi avrebbe cercato di ripulirla. Chissà se il sangue andava via facilmente. Non ricordava con precisione cosa era scritto in proposito sul suo manuale del perfetto investigatore.
Adesso era il momento dì osservare ben bene la scena del delitto. Si trattava di un locale molto ampio, con un pavimento in parquet ricoperto di preziosi tappeti e il soffitto a volta affrescato con un motivo di foglie e di fiori che avevano perso i primitivi colori per uniformarsi in un giallo dorato. Nella stanza non mancava un caminetto in marmo piuttosto monumentale e, ovviamente, tutto l'arredamento evidenziava con il suo lusso che si trattava dello studio di un professionista importante. C'era infatti una mastodontica scrivania in ebano con relativa sedia in stile (Remo non avrebbe saputo dire quale, perché di antiquariato non ne capiva un accidente), e c'erano due poltroncine davanti alla scrivania per i pazienti, e poi un mobile ad antine e a scaffali per riporre probabilmente le varie scartoffie e le tabelle cliniche dei pazienti. Infine dalla parte opposta alla scrivania si trovava un elegante divano color giallo oro che si accordava magnificamente al resto dell'elegante stanza. In quel momento era tutto in perfetto ordine e il cadavere adagiato sul tappeto davanti la scrivania appariva in assoluta incongruenza con tutto il resto.
A quel punto Remo decise di averne abbastanza di tutta quella scena e si diresse verso l'impersonale sala d'attesa nella quale aveva intravisto, entrando poco prima, un telefono adagiato sulla scrivania della segretaria. Infatti, dato il cronico azzeramento del credito del suo cellulare, era costretto ad usare la linea telefonica del suo cliente se voleva mettersi in contatto con il mondo esterno. Si munì del suo fazzoletto e prese la cornetta del telefono; aveva studiato troppo a fondo il suo manuale del perfetto investigatore per non ricordarsi delle impronte digitali. Se ne era rimasta qualcuna, Remo avrebbe fatto di tutto per non cancellarla. Ma le sorprese di quell'incredibile pomeriggio non erano ancora finite; infatti il telefono dello studio era isolato, e dopo qualche vano tentativo il giovanotto si dovette arrendere all'evidenza: non avrebbe potuto avvertire la Polizia da quel telefono; e, data la situazione, sarebbe stato preferibile che si recasse di persona al Commissariato più vicino, per spiegare nei dettagli la sua macabra scoperta. Tanto, il disgraziato disteso sul tappeto dello studio non aveva sicuramente fretta.
Ma a questo punto fu il suo stomaco a prendersi l'ultima parola: infatti, appena Remo uscì dal portone dello stabile, un'ulteriore, vivida immagine di ciò che aveva lasciato al primo piano lo costrinse infine ad obbedire agli impellenti ordini del suo apparato digerente che, evidentemente, aveva finito con il litigare con il cheeseburger e le palatine fritte: ebbe solo il tempo di chinarsi verso il muretto che stava costeggiando e vomitò il suo pranzo.